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Le principali novità in tema Lavoro del “Decreto Ristori” – Nuovi trattamenti di Cigo, assegno ordinario e Cigd

L’articolo 12 del Decreto Ristori proroga ancora gli ammortizzatori sociali per l’emergenza COVID-19 (Cigo, Cigd, Aso e Cisoa), per una durata massima di 6 settimane, nel periodo compreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021.

I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi dell’articolo 1, D.L. 104/2020, convertito con modificazioni dalla L. 126/2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 15 novembre 2020, sono imputati, ove autorizzati, alle 6 settimane previste dal D.L. “Ristori” n° 137 del 28 ottobre 2020 – entrato in vigore dal 29 ottobre 2020 con la pubblicazione sulla G.U n. 269 del 28 ottobre 2020. Le 6 settimane spettano quindi:

– ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato l’ulteriore periodo di 9 settimane di cui all’articolo 1, comma 2, D.L. 104/2020, decorso il periodo autorizzato;

–  ai datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dai provvedimenti che dispongono la chiusura o la limitazione delle attività economiche e produttive al fine di fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.                                                                                                       Così come le ulteriori 9 settimane previste dal D.L. 104/2020, anche le 6 settimane del D.L. Rilancio, risultano essere soggette a un contributo addizionale, che il datore di lavoro è tenuto a versare a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale, determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre 2019, pari:

  1. a) al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al 20%;
  2. b) al 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato. Il contributo addizionale non è dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e per coloro che hanno avviato l’attività d’impresa successivamente al 1° gennaio 2019. Inoltre, sono esclusi i datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dai provvedimenti che dispongono la chiusura o la limitazione delle attività economiche e produttive al fine di fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.                                                                                                                             Ai fini dell’accesso alle ulteriori 6 settimane, il datore di lavoro deve presentare all’Inps domanda di concessione, nella quale autocertifica la sussistenza dell’eventuale riduzione del fatturato che determina l’esonero, ovvero l’aliquota del contributo addizionale: in mancanza di autocertificazione, si applica l’aliquota del 18%.                                                             Le domande di accesso ai trattamenti previsti dal D.L. Ristori devono essere inoltrate all’Inps, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa: in fase di prima applicazione, il termine di decadenza è fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del D.L. 137/2020 (questo, però, determinerebbe la necessità di presentare entro il 30 novembre domande relative a sospensioni verificatesi dal 16 novembre 2020).

In caso di pagamento diretto delle prestazioni da parte dell’Inps, il datore di lavoro è tenuto a inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell’integrazione salariale entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di 30 giorni dall’adozione del provvedimento di concessione: in sede di prima applicazione, tali termini sono spostati al trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del Decreto Ristori, se tale ultima data è posteriore a quella di cui al primo periodo. Trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente.                                                                                                    Il comma 7 dell’articolo 12 prevede, inoltre, che la scadenza dei termini di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all’emergenza COVID-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi, che, in applicazione della disciplina ordinaria, si collocano tra il 1° e il 10 settembre 2020, è fissata al 31 ottobre 2020.

Viene prorogato al 31 gennaio 2021 il divieto di licenziamento, sia collettivo (articoli 4, 5 e 24, L. 223/1991), fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore, sia individuale per giustificato motivo oggettivo (articolo 3, L. 604/1966). È, altresì, confermata la sospensione delle procedure ex articolo 7, L. 604/1966.

Le deroghe previste, di fatto, coincidono con quanto previsto in precedenza dal D.L. 104/2020: il divieto non opera nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società, senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa, ai sensi dell’articolo 2112, cod. civ., o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo; a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1, D.L. 22/2015. Sono, altresì, esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

Igino Carulli

Igino Carulli