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Consiglio di stato: I criteri per il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato (sez. V, 2 gennaio 2024, n. 26) ha ricostruito i principi formulati dalla giurisprudenza amministrativa in ordine al risarcimento del danno spettante alle imprese in caso di mancata aggiudicazione dei contratti di appalto.

In via preliminare, i giudici amministrativi ricordano che in conseguenza dell’illegittimità dell’azione della stazione appaltante, che si sia risolta nell’annullamento della decisione di aggiudicazione, l’impresa pregiudicata ha a disposizione un duplice rimedio:

> la tutela in forma specifica, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla “domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto” (art. 124, comma 1, prima parte, c.p.a.), il cui accoglimento:

– postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios;

– richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa;

> il risarcimento del danno per equivalente monetario (art. 124, comma 1, seconda parte c.p.a.), e ciò:

– sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 c.p.a., i presupposti per dichiarare inefficace il contrato stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza);

– sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini concausali (cfr. art. 124, comma 2, in relazione all’art. 1227 c.c.).

Nell’ambito della tutela risarcitoria vengono in rilievo:

> il danno in termini di mera perdita di chances di aggiudicazione, laddove non sia possibile accedere – in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento sequenziale della stazione appaltante – ad un giudizio di effettiva spettanza della commessa in favore dell’impresa danneggiata;

> il danno da mancata aggiudicazione, qualora la stessa sia invece in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa (e cioè che – ove il contratto fosse stato dichiarato inefficace, ricorrendone le condizioni – avrebbe senz’altro avuto diritto alla stipula o al subentro).

In relazione alla tipologia di danno da ultimo richiamata, la giurisprudenza amministrativa ha, poi, nel tempo fornito taluni criteri da utilizzare per la dimostrazione e quantificazione del risarcimento.

Per quanto riguarda in particolare l’onere di allegazione dell’impresa, è stato precisato quanto segue:

>il concorrente danneggiato non è tenuto a dimostrare la colpa della stazione appaltante, in quanto l’imputazione opera in termini obiettivi e la responsabilità assume una funzione compensativo-surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto;

> è, invece, suo onere offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex 64, commi 1 e 3 c.p.a., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato.

Per quanto concerne la quantificazione del danno, è stato affermato che:

> all’impresa non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico della stessa (il quale, perciò, può pretenderne il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile), ma le spetta, per contro, il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende:

1) il mancato profitto, vale a dire l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale e alla propria struttura dei costi, dall’esecuzione del contratto;

2) il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale e imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali;

> relativamente al mancato utile:

– deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento, o di altra percentuale, dell’importo a base d’asta. E ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del concorrente danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e di dimostrazione, sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito;

– ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può prendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata e dalla relativa offerta;

– il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non aver potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori. E ciò perché, in assenza della suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile che tenga conto della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche – nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo ed in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali – all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile;

> quanto al danno curriculare, anch’esso deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata:

– alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quali conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione;

– alla mancata acquisizione di un elemento costitutivo della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando oltre la qualificazione SOA.

– Solo all’esito di tale dimostrazione, relativamente all’an, è possibile procedere alla liquidazione nel quantum (anche a mezzo di forfettizzazione percentuale applicata sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante), e sempre che non debba ritenersi che, trattandosi di impresa leader nel settore di riferimento, la mancata aggiudicazione di un appalto non possa considerarsi idonea ad incidere negativamente sulla futura possibilità di conseguire le commesse economicamente più appetibili e, più in generale, sul posizionamento dell’impresa nello specifico settore di mercato in cui è chiamata ad operare;

> il complessivo importo riconosciuto va incrementato, trattandosi di debito di valore, della rivalutazione monetaria (a decorrere dalla data di stipula del contratto fino all’attualità), e degli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo.

Facendo applicazione di tali principi, il Consiglio di Stato ha respinto la pretesa risarcitoria rimessa al suo esame, non avendo l’impresa interessata fornito alcuna prova per la stima dell’an e del quantum del risarcimento.

Igino Carulli

Igino Carulli